A
differenza della paura, emozione che è comune a tutti noi e che viene sperimentata
nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un potenziale pericolo, di fronte
cioè a qualcosa che potrebbe costituire per noi un rischio concreto (un animale
feroce, una macchina che si avvicina sbandando a forte velocità, un
incendio...), costituendo perciò una risposta adattiva da parte del nostro
cervello che così "ci mette in allarme" e ci spinge a metterci al
sicuro, o ad adottare comportamenti di protezione, le fobie sono in effetti
paure riferite a qualcosa che non può costituire un pericolo reale, e
rappresentano perciò l'esito di una reazione eccessiva e non adattiva:
nonostante ciò, le sensazioni fisiologiche che possiamo percepire quando siamo
alle prese con qualcuna di esse sono assolutamente reali, e ricalcano in pieno
quelle che sperimentiamo in una situazione di rischio autentico.
La
fobia deriva da un processo di apprendimento per associazione, il condizionamento
classico: un oggetto o una situazione non realmente
pericolosi vengono associati alla sensazione di pericolo, all'emozione
della paura (che, come dicevamo è invece assolutamente reale);
quest'associazione viene mantenuta nel tempo e rinforzata dall'evitamento che
il soggetto mette in atto come "contromisura" per non provare più
tali sgradevoli sensazioni, mantenendosi dunque a distanza dall'oggetto o dalla
situazione in questione.
Può
accadere che la persona non ricordi l'occasione in cui è avvenuta l'associazione
tra l'oggetto/la situazione e la paura; allo stesso modo, il soggetto può non
essere sempre del tutto consapevole di mettere in atto un evitamento, e
semplicemente... Può avvenire che lo utilizzi, sperimentando tuttavia le
sensazioni fisiologiche della paura (tensione muscolare e tremore,
tachicardia, sudorazione eccessiva, spossatezza, disturbi a livello gastrico e
urinario, arrossamento e calore al viso, senso di soffocamento...) non
appena l'elemento temuto viene "avvicinato", o anche solo pensato.
Il
meccanismo dell'evitamento è però estremamente subdolo: il provare
sollievo dalla paura senza di fatto aver provato a fronteggiarla, infatti, non
fa altro che "confermare" falsamente che quello specifico oggetto o
quella situazione sono realmente pericolosi, convincendoci che se stiamo bene è
solo perché li abbiamo evitati: in poche parole, non diamo a noi stessi la
possibilità di mettere in discussione (disconfermare) la nostra fobia, e il
risultato è che la rinforziamo.
Questo
può avere esiti molto pesanti sulle nostre abitudini e sulla nostra vita,
portandoci ad auto-limitarci, a rinunciare ad esperienze nuove e piacevoli da
fare da soli o insieme agli altri, in alcuni casi anche a metterci,
paradossalmente, in altre (concrete) situazioni di pericolo. Pensiamo, ad
esempio, ad una persona che ha la fobia degli aghi e che dunque eviterà
di fare qualunque tipo di esame del sangue, con tutti i potenziali rischi
conseguenti per la propria salute; oppure, a proposito di limitazioni alla
propria vita sociale ed alle proprie esperienze, immaginiamo la vita di una
persona con agorafobia, costretta in spazi limitati, talvolta
limitatissimi.
Le
tecniche più efficaci comunemente utilizzate in Terapia
Cognitivo-Comportamentale (TCC) per affrontare e superare le fobie sono la Desensibilizzazione
Sistematica (DS), sviluppata da Wolpe negli anni '50 del secolo scorso, ed
abbinata al Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson; l'esposizione
in vivo,
ed ultimamente -nonché sempre più frequentemente- anche l'ipnosi.
Il trattamento di una fobia è generalmente di durata breve o media.
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