Eccoci qui. Ancora nel mezzo
della tormenta, alle prese con un'emergenza sanitaria che coinvolge il mondo
intero e con una situazione con cui nessuno di noi aveva mai dovuto confrontarsi
in precedenza (e che probabilmente nessuno di noi avrebbe mai pensato di dover
fronteggiare nel corso della vita).
Come molti di voi sto
lavorando da casa ormai da circa tre settimane, purtroppo senza riuscire a
seguire tutti i miei pazienti perché per alcuni può non essere facile trovare
le condizioni adatte per effettuare delle sedute in videochiamata: non possiamo
uscire, ma per qualcuno stare a casa può significare avere ancor meno libertà
di movimento e privacy rispetto a quanto accade normalmente fuori, o
semplicemente costringe a fermare forzatamente tutte le proprie attività,
spesso anche quelle legate al proprio percorso terapeutico. Questo evento
straordinario ha in qualche modo fermato il tempo ma costringendoci a gestirlo,
a farne qualcosa di utile: lo spazio "tra parentesi" in cui ci siamo
dovuti chiudere -ma tutti a distanza di sicurezza l'uno dall'altro- si dilata
ancora e al momento, in realtà, non è facile prevedere quando potrà
ricominciare a contrarsi.
Molto si è scritto, in
queste settimane, sul come affrontare la clausura
forzata, e molti di noi avranno avuto modo di notare su se stessi il
susseguirsi di fasi diverse. I primi giorni una reazione di vaga sovraeccitazione,
probabilmente figlia della paura (mi vengono in mente i giocatori di una
squadra un po' in difficoltà che, dovendo scontrarsi con i primi in classifica,
si danno grandi manate l'un l'altro e, mettendosi tutti in cerchio, gridano
insieme per caricarsi e nello stesso tempo sfidare gli avversari prima che
inizi la partita): questo ci ha portati a dedicarci a mille occupazioni, non
solo per riempire un tempo improvvisamente più lungo, ma anche per ribellarci
alla sensazione di essere stati "bloccati", costretti all'inattività.
Come però sempre avviene in
seguito a qualsiasi evento fortemente impattante (e totalmente inatteso) nelle
nostre vite, alla frenetica reazione iniziale ha fatto seguito una fase
diversa. Il constatare che il tempo sospeso non sarebbe finito tanto presto,
sentendosi contemporaneamente non del tutto al sicuro nemmeno nel momento
presente, ha portato alcuni a vivere sentimenti di rabbia (rabbia che di volta in
volta ha trovato molti "bersagli ideali": i presunti untori, coloro che hanno fatto incetta
di mascherine chirurgiche o quelli che hanno fatto sparire il lievito e la
farina dai supermercati, i politici, i vicini di casa che portano fuori il cane
dieci volte al giorno, il primo malcapitato con cui attaccare briga sui social,
ecc.), per altri invece si è verificato una sorta di rallentamento se di non vero e
proprio arresto
dell'attività, a volte declinato in un sano "Non sono certo obbligato a leggere tutti i libri che ho in casa,
ad iscrivermi a mille corsi online, a rivoluzionare l'arredamento e a fare ogni
giorno un'ora di ginnastica con i miei figli mentre nello stesso tempo continuo
a lavorare in videoconferenza, pulisco la casa e sforno mille manicaretti"
ed altre volte in un rassegnato "Tanto
non resta che aspettare".
Non voglio proporre anche io
una sorta di vademecum su "come
affrontare dal punto di vista psicologico l'emergenza Covid-19 mentre stiamo a
casa": sicuramente, come me, ne avrete letti tanti. Desidero
però portare l'attenzione su un concetto a me molto caro -quello di scelta-
e concentrarmi su come potrà essere il dopo, e su cosa potremo portare con noi
di quest'esperienza che tutti stiamo vivendo.
I miei pazienti lo sanno
bene perché torno spesso su questo tema: sono profondamente convinta del fatto
che possiamo sempre scegliere, perfino in una situazione così estrema e così
"costrittiva" come quella in cui ci troviamo, e che possiamo fare
delle scelte di benessere: questo significa che più che mai, ora, abbiamo modo di
riflettere su ciò che realmente conta per noi, sul tempo che desideriamo
dedicare a queste cose/persone/attività, e su ciò di cui al contrario vogliamo
"alleggerirci" perché possa fare spazio al resto. In
questa situazione di difficoltà abbiamo in effetti una grande occasione, ed il
fatto di essere in qualche modo obbligati a sostare nell'unico tempo in cui
faremmo sempre bene a stare -il presente-
ci facilita nell'entrare in contatto con quello che, al di là di cosa ci
suggerirebbero normalmente la nostra agenda e le nostre abitudini, davvero
rappresenta per noi un nutrimento e ci dice qualcosa di molto importante su ciò
che desideriamo anche per il nostro futuro.
Ho chiesto dunque a me stessa, ad altri e vi propongo di
chiedervi:
- cosa sto scoprendo su di me in questo momento? Ci sono forse delle qualità che non sapevo di poter esprimere, e che mi piacerebbe facessero sempre parte del mio "bagaglio", che vorrei saper utilizzare nella vita di tutti i giorni?
- cosa sto scoprendo della mia relazione con le altre persone? Ci sono aspetti che vorrei correggere o che vorrei rinforzare, nel mio modo di stare con gli altri e comunicare con loro?
- ho compreso che posso fare a meno di cose, situazioni e persone, e che è arrivato il momento di lasciarle andare? Ho notato che ho riempito i miei spazi ed il mio tempo di tanti elementi a cui in realtà non desidero autenticamente dedicarmi?
- ho iniziato a pensare a me in modo nuovo, forse anche solo sotto alcuni aspetti, piccoli o grandi, e questo mi porta ad immaginare nuovi obiettivi?
Una paziente mi ha risposto
per esempio "Voglio portare con me
la consapevolezza della forza che ho scoperto di avere nel fronteggiare questa
situazione", un'altra di voler portare con sé le nuove abitudini sane
acquisite in questo periodo, una ritrovata efficacia nell'organizzarsi, e la
capacità di cavarsela facendosi bastare il necessario.
La mia lista è abbastanza
lunga... E probabilmente ci lavorerò ancora. Verranno tempi più sereni per
tutti, ma adesso -mentre restiamo a casa- possiamo scegliere quali semi
piantare, iniziando ad immaginare quale sarà il profumo dei fiori che vedremo
crescere domani intorno a noi.
Photo: Marinella Magnani |
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