martedì 31 marzo 2020

Quando tutto questo finirà


Eccoci qui. Ancora nel mezzo della tormenta, alle prese con un'emergenza sanitaria che coinvolge il mondo intero e con una situazione con cui nessuno di noi aveva mai dovuto confrontarsi in precedenza (e che probabilmente nessuno di noi avrebbe mai pensato di dover fronteggiare nel corso della vita).

Come molti di voi sto lavorando da casa ormai da circa tre settimane, purtroppo senza riuscire a seguire tutti i miei pazienti perché per alcuni può non essere facile trovare le condizioni adatte per effettuare delle sedute in videochiamata: non possiamo uscire, ma per qualcuno stare a casa può significare avere ancor meno libertà di movimento e privacy rispetto a quanto accade normalmente fuori, o semplicemente costringe a fermare forzatamente tutte le proprie attività, spesso anche quelle legate al proprio percorso terapeutico. Questo evento straordinario ha in qualche modo fermato il tempo ma costringendoci a gestirlo, a farne qualcosa di utile: lo spazio "tra parentesi" in cui ci siamo dovuti chiudere -ma tutti a distanza di sicurezza l'uno dall'altro- si dilata ancora e al momento, in realtà, non è facile prevedere quando potrà ricominciare a contrarsi.

Molto si è scritto, in queste settimane, sul come affrontare la clausura forzata, e molti di noi avranno avuto modo di notare su se stessi il susseguirsi di fasi diverse. I primi giorni una reazione di vaga sovraeccitazione, probabilmente figlia della paura (mi vengono in mente i giocatori di una squadra un po' in difficoltà che, dovendo scontrarsi con i primi in classifica, si danno grandi manate l'un l'altro e, mettendosi tutti in cerchio, gridano insieme per caricarsi e nello stesso tempo sfidare gli avversari prima che inizi la partita): questo ci ha portati a dedicarci a mille occupazioni, non solo per riempire un tempo improvvisamente più lungo, ma anche per ribellarci alla sensazione di essere stati "bloccati", costretti all'inattività.


Come però sempre avviene in seguito a qualsiasi evento fortemente impattante (e totalmente inatteso) nelle nostre vite, alla frenetica reazione iniziale ha fatto seguito una fase diversa. Il constatare che il tempo sospeso non sarebbe finito tanto presto, sentendosi contemporaneamente non del tutto al sicuro nemmeno nel momento presente, ha portato alcuni a vivere sentimenti di rabbia (rabbia che di volta in volta ha trovato molti "bersagli ideali": i presunti untori, coloro che hanno fatto incetta di mascherine chirurgiche o quelli che hanno fatto sparire il lievito e la farina dai supermercati, i politici, i vicini di casa che portano fuori il cane dieci volte al giorno, il primo malcapitato con cui attaccare briga sui social, ecc.), per altri invece si è verificato una sorta di rallentamento se di non vero e proprio arresto dell'attività, a volte declinato in un sano "Non sono certo obbligato a leggere tutti i libri che ho in casa, ad iscrivermi a mille corsi online, a rivoluzionare l'arredamento e a fare ogni giorno un'ora di ginnastica con i miei figli mentre nello stesso tempo continuo a lavorare in videoconferenza, pulisco la casa e sforno mille manicaretti" ed altre volte in un rassegnato "Tanto non resta che aspettare".

Non voglio proporre anche io una sorta di vademecum su "come affrontare dal punto di vista psicologico l'emergenza Covid-19 mentre stiamo a casa": sicuramente, come me, ne avrete letti tanti. Desidero però portare l'attenzione su un concetto a me molto caro -quello di scelta- e concentrarmi su come potrà essere il dopo, e su cosa potremo portare con noi di quest'esperienza che tutti stiamo vivendo.

I miei pazienti lo sanno bene perché torno spesso su questo tema: sono profondamente convinta del fatto che possiamo sempre scegliere, perfino in una situazione così estrema e così "costrittiva" come quella in cui ci troviamo, e che possiamo fare delle scelte di benessere: questo significa che più che mai, ora, abbiamo modo di riflettere su ciò che realmente conta per noi, sul tempo che desideriamo dedicare a queste cose/persone/attività, e su ciò di cui al contrario vogliamo "alleggerirci" perché possa fare spazio al resto. In questa situazione di difficoltà abbiamo in effetti una grande occasione, ed il fatto di essere in qualche modo obbligati a sostare nell'unico tempo in cui faremmo sempre bene a stare -il presente- ci facilita nell'entrare in contatto con quello che, al di là di cosa ci suggerirebbero normalmente la nostra agenda e le nostre abitudini, davvero rappresenta per noi un nutrimento e ci dice qualcosa di molto importante su ciò che desideriamo anche per il nostro futuro.

Ho chiesto dunque a me stessa, ad altri e vi propongo di chiedervi:

  • cosa sto scoprendo su di me in questo momento? Ci sono forse delle qualità che non sapevo di poter esprimere, e che mi piacerebbe facessero sempre parte del mio "bagaglio", che vorrei saper utilizzare nella vita di tutti i giorni?
  • cosa sto scoprendo della mia relazione con le altre persone? Ci sono aspetti che vorrei correggere o che vorrei rinforzare, nel mio modo di stare con gli altri e comunicare con loro?
  • ho compreso che posso fare a meno di cose, situazioni e persone, e che è arrivato il momento di lasciarle andare? Ho notato che ho riempito i miei spazi ed il mio tempo di tanti elementi a cui in realtà non desidero autenticamente dedicarmi?
  • ho iniziato a pensare a me in modo nuovo, forse anche solo sotto alcuni aspetti, piccoli o grandi, e questo mi porta ad immaginare nuovi obiettivi?


Una paziente mi ha risposto per esempio "Voglio portare con me la consapevolezza della forza che ho scoperto di avere nel fronteggiare questa situazione", un'altra di voler portare con sé le nuove abitudini sane acquisite in questo periodo, una ritrovata efficacia nell'organizzarsi, e la capacità di cavarsela facendosi bastare il necessario.
La mia lista è abbastanza lunga... E probabilmente ci lavorerò ancora. Verranno tempi più sereni per tutti, ma adesso -mentre restiamo a casa- possiamo scegliere quali semi piantare, iniziando ad immaginare quale sarà il profumo dei fiori che vedremo crescere domani intorno a noi.

Photo: Marinella Magnani

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